CBRE Group Italia, leader nell’immobiliare alberghiero, fa il punto sul mercato italiano
CBRE Group è la più grande società al mondo di consulenza immobiliare. La società impiega oltre 105.000 dipendenti (escludendo le consociate) e fornisce servizi a proprietari di immobili, investitori e occupier nel settore immobiliare attraverso circa 530 sedi in tutto il mondo.
CBRE offre una vasta gamma di servizi integrati, tra cui consulenza strategica, vendita e locazione di proprietà immobiliari; servizi aziendali; gestione di proprietà, facilities e project management; finanziamenti, stime e valutazioni; servizi di sviluppo; gestione di investimenti; ricerca e consulenze. Da 20 anni consecutivi si trova nella prima posizione nella classifica Lipsey come miglior brand nel settore immobiliare.
La società si basa principalmente su 4 valori, Rispetto, Integrità, Servizio ed Eccellenza, alla base della creazione di un ambiente di lavoro inclusivo e sicuro, come dimostrano il riconoscimento Human Rights Best place to work for LGBTQ Equality e la presenza nella lista Forbes “America’s Best Employers for Diversity”.
Francesco Calia, Head of Hotels Italy, ha oltre 20 anni di esperienza nel settore alberghiero e ha fornito consulenza strategica e servizi di capital market sui principali deal italiani. La sua esperienza nel settore alberghiero e immobiliare include non solo l’Italia ma l’intera l’area mediterranea e comprende consulenza strategica, acquisizione e vendita, nonché consulenza e valutazioni per l’attività di operator selection. È Head of Hotels Italy CBRE dal 2015.
Con questi dati che rendono l’idea dell’importanza di tale gruppo sul mercato globale chiediamo al responsabile del settore Hospitality per l’Italia, Francesco Calia, come si pone CBRE Italy nell’attuale momento del mercato che coincide con una buona ripresa del turismo italiano e mondiale.
Domanda: Il ritorno dell’attività alberghiera e più generalmente nei vari comparti turistici ai livelli pre covid è prevista dalla prossima stagione ma già in questa fase si nota un buon movimento di acquisizioni e vendite, sia di importanti immobili alberghieri che di gestione degli stessi. L’Italia rasta quindi appetibile nonostante i molti gap che questo Paese non riesce a superare? E si sì in quali fasce del mercato?
I segnali di ripresa sono già visibili dall’inizio del 2022. Le destinazioni resort hanno dimostrato di essere sicuramente quelle più resilienti, seguite dai mercati urbani, in cui la componente leisure rappresenta una quota importante del market mix (eg. Roma, Venezia, Firenze). Se i mercati resort hanno beneficiato negli ultimi due anni di pandemia della domanda domestica obbligata a trascorrere le vacanze nel Bel Paese, i mercati alberghieri urbani registrano ad oggi un’importante ripresa trainata dalla domanda internazionale leisure. Europei e americani hanno ripreso a visitare in modalità quasi regolare Venezia, Firenze e Roma, mentre sono ancora assenti i turisti asiatici, mediorientali e ovviamente russi. Quest’ultimo mercato tuttavia rappresenta una quota marginale, pari al 2% della domanda turistica del Paese, benché concentrati in alcune destinazioni costiere e montane che soffrono particolarmente la loro assenza (eg. Forte dei Marmi, Sud Sardegna, Cortina). In tali destinazioni la strategia degli operatori è quella di cercare di sostituire la componente russa con altri mercati internazionali attraverso politiche commerciali online e canali diretti. Tutto questo evidenzia come l’Italia sia cuore del turismo mondiale con delle unicità (paesaggistiche, culturali, biodiversità) che permettono di tenere i prezzi del soggiorno particolarmente elevati, se confrontati ad esempio con Spagna, Grecia e Francia.
Tale forza delle destinazioni turistiche italiane (unicità/alti prezzi), congiuntamente a una storica carenza di marchi/catene internazionali (mercato frammentato con l’80% delle camere alberghiere disponibili in Italia gestite a livello locale/familiare), fa sì che l’Italia sia nel radar di tutte le catene internazionali per guadagnare una posizione profittevole con varie modalità operative (affitto, management, franchising). In tale contesto, gli investitori internazionali trovano nel mercato alberghiero italiano fondamentali sani e rischio ridotto di volatilità dei rendimenti. Il 2021 ha rappresentato un anno record per gli investimenti alberghieri in Italia con circa 2 miliardi di euro transati (al netto del 2019 che è stato condizionato da una transazione eccezionale ai massimi livelli: la vendita del Gruppo Belmond a LVMH, che noi abbiamo assistito) e il primo semestre del 2022 prosegue in questa direzione. Allo stato attuale, le aspettative di innalzamento dei tassi di interesse per finanziare le acquisizioni (e i capex) orientano la domanda di investimento prevalentemente su prodotti alberghieri da riposizionare (value-add), ma anche hotel o progetti alberghieri iconici (trophy asset), ad alto potenziale di crescita (performance, ritorno, valore di uscita).
Nella fascia alta e medio alta del mercato alberghiero la nostra offerta è, per vari motivi, piuttosto datata; l’evoluzione è ancora lenta specie se non sono i grandi gruppi internazionali a farlo. Prevede che vengano dall’estero i capitali per investire in questo Paese o trova che ci siamo anche imprenditori italiani (Del Vecchio ad esempio) a dare un nuovo impulso?
La domanda di investimenti alberghieri (e nel settore immobiliare commerciale in generale) è stata nell’ultimo ventennio trainata da capitali stranieri (dopo la vendita di CIGA a ITT Sheraton), da occidente a oriente. Nel settore alberghiero vediamo una forte iniezione di capitali internazionali (sia investitori che finanziatori), che nel 2021 ha rappresentato il 70% circa dei 2 miliardi di euro investiti in hotel. In questo momento gli investitori italiani sono pochi e focalizzati sul loro core business, seppur l’interesse verso il settore alberghiero è crescente (penso alla Famiglia Benetton, a Renzo Rosso, Gianluigi Aponte, Ferrero, Caprotti, etc..). Probabilmente sono anche cicli storici e questo non è il momento giusto. Di riflesso vedo invece un crescente interesse da parte di imprenditori italiani verso le gestioni, campo in cui vantiamo una forte tradizione e che può aiutarci a ricominciare a fare scuola di ospitalità nel mondo (Elisabetta Fabbri, Bernabò Bocca, Guido Polito, Sofia Vedani, Luca Boccato, etc..).
Il PNRR pare sia piuttosto debole nell’ambito turistico o inferiore alle attese: resta un’opportunità per chi vuole ristrutturare?
Questa industria contribuisce per il 13% al valore aggregato di tutti i beni e sevizi prodotti in un anno in Italia (PIL), ma i contributi previsti nel piano nazionale di resilienza e ripresa ne rappresentano una parte molto marginale. Nonostante il peso economico del turismo su scala nazionale, regionale e delle piccole comunità locali, il settore non viene ancora visto centralmente come strategico. Le motivazioni sono molteplici ma ritengo per gran parte correlate alla elevata frammentarietà di questo settore che non riesce ad esprimere con forza di gruppo le proprie esigenze e necessità. Con l’istituzione nel 2021 di un Ministero dedicato (cosa che non avveniva dal 1993), sembra esserci l’intenzione di curare il coordinamento, la programmazione e la promozione turistica del Paese, ma il gap rispetto alla nostra vicina Spagna, ad esempio, è ancora molto elevato. Faccio parte del Comitato tecnico Turismo e Ospitalità di Confindustria Assoimmobiliare e portiamo avanti le nostre interlocuzioni col Governo per agevolare il settore nella ripresa e riqualificare complessivamente il patrimonio alberghiero nazionale secondo i principi ESG per raggiungere l’obiettivo zero-emissioni nel settore dell’accordo di Parigi 2015. Mi auguro si riesca presto a migliorare le modalità di allocazione di risorse e azioni mirate al settore e contribuire a migliorare l’ambiente costruito.
Quali sono i valori di mercato attuali per strutture che il più delle volte hanno bisogno di essere in gran parte del tutto ristrutturate e su quali basi vengono stimate?
I volumi di investimento annui nel settore alberghiero non sono tali da poter stabilire dei valori di mercato medi per ogni destinazione, come avviene per altri settori. Il valore di un albergo è determinato sulla basa della capacità reddituale che l’hotel esprime in quella location e considerando il suo posizionamento ottimale in termini di mercato, margine operativo atteso, brand ideale, modalità contrattuale ottimale per rendere liquido l’immobile nel mercato dei capitali e servizi coerenti. Al fine di raggiungere questo posizionamento spesso sono necessari interventi di ristrutturazione (capex) o rebranding (riposizionamento commerciale).
Costi e tempi necessari per riposizionare l’hotel correttamente vengono scontati ai flussi di cassa operativi dalla gestione a dei tassi che riflettono il rischio/tempo correlato. In questa maniera si ottiene il valore attuale di un hotel e sono proprio le opportunità che richiedono di essere in gran parte o del tutto ristrutturate quelle più richieste dagli investitori in questo momento (appunto, opportunità di investimento value-add). Quello che vediamo è che, dopo la paralisi delle transazioni immobiliari alberghiere nel 2020, ad oggi su queste tipologie di investimento i tassi di sconto applicati sono ritornati ai livelli pre-Covid (quindi i valori degli alberghi transati) perché i risultati gestionali sono in forte ripresa (talvolta anche superiori al periodo pre-Covid, in Sardegna ad esempio o nelle principali località montane italiane) e le prospettive sono quelle di un ritorno alla normalità nel 2023. Questo trend è ancora più marcato nelle destinazioni resort, più resilienti, come già detto. La grande incognita nel breve-medio periodo rimane il costo del denaro a debito che impatta sulla allocazione dei capitali tra investimenti alternativi e sui livelli di rendimento attesi dall’investimento. Lo scenario è in forte evoluzione ma ancora in Italia non si vedono segnali negativi in questo senso.
Il valore immobiliare alberghiero è legato strettamente all’attività di chi lo gestisce, questo cosa comporta per società come la Vostra?
Vantiamo una forte specializzazione e un’esperienza più che ventennale nella consulenza immobiliare nel settore alberghiero e questo ci permette di poter seguire i nostri clienti in ogni fase del loro investimento. Infatti, le nostre competenze tecniche e di business sono richieste sia in fase acquisitiva (eg. due diligence tecniche e commerciali, valutazioni immobiliari per la determinazione del prezzo o per finanziamenti o rifinanziamenti bancari, per piani strategici di riposizionamento del singolo hotel o dell’intero gruppo alberghiero), che nella fase successiva (ricerca del gestore/brand, asset management, certificazioni ESG), o finale di vendita della proprietà alberghiera o del portafoglio di hotel (servizi di capital market e financing dell’affare). In tale contesto, i nostri clienti sono gli imprenditori di settore, gli operatori, le banche e gli investitori.
Quali sono gli aspetti importanti per una gestione immobiliare e quali sono le particolarità se un edificio è adibito ad hotel?
Premesso che operiamo da advisor di settore per i nostri clienti, gli aspetti fondamentali per una profittevole gestione alberghiera, a mio modo di vedere, sono sostanzialmente tre e completamente interconnessi tra loro: location, prodotto coerente, conseguente piano commerciale. Ovviamente, le persone, le squadre coinvolte nella gestione di un singolo hotel o gruppo alberghiero, sono alla base di ogni ingrediente. È un settore complesso, con una miscela di ingredienti che deve essere ben bilanciata per raggiungere il successo, in cui passione, motivazione e curiosità a studiare esperienze altrui sono fondamentali, oltre ovviamente ad un adeguato livello retributivo che in Italia ha bisogno di revisioni per mantenere ed attrarre i talenti. Alla luce di tutto questo, l’hotel è sostanzialmente una azienda in cui la struttura immobiliare non è altro che un contenitore funzionale all’attività che viene svolta al suo interno. Così si spiega anche perché la valutazione del valore immobiliare di un hotel è fatta su base reddituale.
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