I trend e le abitudini di consumo nei ristoranti ed alberghi italiani
Seconda parte dell’inchiesta sui trend e le abitudini di consumo nei ristoranti ed alberghi italiani, pubblicata sul numero 78 della rivista L’Albergo. Alle nostre domande, stavolta, rispondono Andrea Manzoli, chef del ristorante Al Capitan diVerona, Cesare Marretti, chef del ristorante E’ cucina a Bologna e Roberto Necci, Direttore dell’Hotel Domidea a Roma.
Le domande
1 – Da una nostra verifica su un campione rappresentativo abbiamo visto che c’è un food cost singolare. In varie fasce di ristoranti, specie a livello basso e medio, ma anche sul medio/alto, specie nella Pasta e Primi piatti i prezzi sono pressoché uguali: ma la differenza del locale e del servizio dove sta allora?
2 – I clienti spendono meno. In una indagine 1 su 3 ha dichiarato di spendere meno nei ristoranti rispetto all’anno scorso: ritengono di pagare prezzi più alti al ristorante rispetto solo a prima dell’estate. Per raggiungere questo obiettivo, secondo lei gli utenti stanno riducendo le visite e optando per meno piatti o piatti più economici?
3 – Gli ospiti che spendono meno scelgono ristoranti più economici; le sembra che i clienti ordinano meno per risparmiare e stanno riducendo le spese anche attraverso i opzioni più convenienti in termini di rapporto qualità-prezzo con la scelta di piatti più economici?
4 – Risulta che un alto numero di clienti è disposto a pagare di più per avere ingredienti di origine locale e un’atmosfera accogliente. Anche il servizio ha notevole importanza, molti notano carenze in questo. Qual è il tuo parere?
Andrea Manzoli, chef ristorante Al Capitan, Verona
Nel cuore di Verona questo locale dedicato solo al pesce si distingue per la sobria eleganza, arricchita da grandi elementi d’arredo legati alla tradizione marinaresca. La freschezza e la stagionalità itticae delle verdure sono alla base del menu edella preparazione dei piatti. Si tratta di un locale di fascia alta, sia per la qualità delle variegate proposte che per quella d’un servizio di primordine. Non a caso, socio dello chef Andrea Manzoli è il notissimo e apprezzato chef stellato Giancarlo Perbellini.
1 – In quella fascia di prezzi conviene scegliere un’ottima trattoria, in cui si mangia bene, al giusto prezzo, con servizio adeguato, anche se non si raggiunge il livello di un ristorante. Oggi il cliente è un po’ confuso, perché vi è un’eccessiva varietà d’offerta. La formula del ristorante turistico o dei cornerè cresciuta ovunque, ma è un altro tipo di ristorazione. Tra l’altro, proponendo un primo sui 14 euro, questi ristoratori spalmano tutte quelle spese fisse che ad oggi inchiodano la ristorazione di livello.
2 – Sì, trovo vi sia questa tendenza, ora spendono ed escono sicuramente meno di prima. Capita spesso che un ristorante venga ritenuto troppo “caro”, ma bisognerebbe piuttosto valutare il rapporto tra ciò che si spende e quel che si riceve. Spendere 20 euro in più a persona in un ristorante che giustifica quei prezzi con la qualità e risparmiarli in un ristorante turistico, dove non si ha niente in cambio… E’ molto diverso.
3 – Chi era abituato ai ristoranti di un certo livello, secondo me al massimo può ridurre un po’ le uscite. Sicuramente, però, si tende a spendere meno, ed è probabile che chi frequentava le fasce tra il medio e il basso adesso ricada nel basso; oppurescono lo stesso numero di volte, ma invece di andare tre volte al ristorante e una in pizzeria, fanno il contrario.
4 – Quello che può fare davvero la differenza oggi è il servizio. Adesso che c’è carenza e abbiamo notevoli difficoltà nel gestire il personale e nel trovare le persone formate, se c’è un padrone di casa che sa tenere insieme una squadra, che sa dare un’atmosfera al locale, che offre prodotti con materie prime del territorio, che fa star bene l’ospite… Ecco che il cliente sceglie questo tipo di locale, anziché un locale alla moda. C’è bisogno di familiarità.
Cesare Marretti, chef creativo, ristorante È cucina e Marrètt, Bologna
Il popolare chef toscano de ‘La prova del cuoco’, da anni a Bologna dove gestisce “È Cucina”, ha aperto anche il ristorante “Marrètt”: le proposte sono al 50% vegane e al 50% vegetariane. Il concetto di questi locali è di proporre un menu fisso a pranzo con scelta tra carne, pesce o vegetariano a vari prezzi (10 – 20 €); il menu comprende acqua, calice di vino e caffè. La sera è proposto un menu degustazione di pesce, carne o vegetariano con 2-3 portate (20-30 €).
1 – L’intento è quello di nutrire il corpo, non solo sfamarlo. Per fare questo dobbiamo capire che un’offerta di menù vasta porta ad avere prodotti con scadenze lunghe o addirittura spesso già pronti e pastorizzati. Comportando un aumento dei costi e una standardizzazione dei sapori (vedi cornetti congelati) noi abbiamo scelto di puntare su una proposta fatta da pochi piatti per un minimo di 8 portate e un massimo di 12 compreso il dolce, con cambio di menù giornaliero. Questo sistema comporta un acquisto programmato settimanale per un consumo giornaliero. Tuttavia spesso siamo penalizzati dai nuovi stili di vita. Abbiamo fatto un locale vegano coerente nel concetto del nutrire, non sfamare. Se un piatto vegano in un menù non viene scelto diventa un costo. In un locale vegano tutti i commensali mangeranno il piatto vegano! Altrimenti meglio non rincorrere modelli nuovi e rimanere nella cucina tradizionale
2 – Le persone guardano il prezzo nei locali a fascia medio bassa e spesso troviamo gestori che hanno puntato su tutto fuorché sul cibo, vedi Mac Donald’s, Autogrill o Pizza Hut, che hanno conquistato un grande pubblico o per forzatura o per immagine. Questi modelli hanno indottrinato i nostri consumi pagando cifre molto elevate per prodotti scadenti ricorrendo al self service. Il servizio non è più visto come un valore aggiunto, ma come un costo aggiunto. Noi abbiamo scelto di non rincorrere il fatturato e gareggiare nel prezzo a ribasso; abbiamo scelto di usare una cosa di cui ormai nessuno ne parla, ma fa la differenza: la professione del cuoco che è quello non di creare arte ma quella di creare alchimie. Quindi puntiamo su poca ma buona materia prima di lavorarla all’interno, con scelta limitata. Con “alchimie” che servono per nutrire, non per sbalordire, mantenendo un prezzo medio con meno fronzoli, ma più sostanza. Per il servizio siamo agevolati, gli altri non lo fanno, e giustamente lo mettono in conto però poi il conto alla fine è lo stesso.
3 – Morale: la scelta è sempre la solita, fare una cosa che comporti poco investimento, ma tanta sostanza. Sempre per locali con cifre medio basse paragonate a un ristorante stellato o vicino alla stella. Le trattorie invece hanno un problema per i clienti autoctoni, mentre per i turisti basta che sia ubicato bene… La differenza è nel prezzo che noi facciamo, 10 euro mentre gli altri partono da 18 euro minimo, qui è l’errore…
4 – Per quanto riguarda l’acquisto dei prodotti non avendo più una clientela che segue i prodotti di stagione è facile manipolare la comunicazione. Io credo che la digeribilità e la sazietà senza la pesantezza siano importanti, soprattutto dando molto spazio a cotture brevi e non usando esaltatori di sapore o scorciatoie che possono rendere il piatto più longevo o piùbello, sicuramente evitando tutto ciò che fa l’industria nei prodotti preparati vedi creme verdure surgelate verdure in barattolo, e soprattutto i salumi. La nostra scelta è quella di creare alchimie con prodotto freschi oppure rispettare la tradizione.
Roberto Necci, general Manager Hotel e ristorante Domidea, Vice presidente Federalberghi, Roma
La ristorazione dell’hotel Domidea, prevalentemente aperta alla clientela interna, offre i piatti tipici della cucina romana, arricchiti con variazioni sul tema oltre ad un pizzico di originalità.Vengono prediletti i prodotti locali e del territorio. Prezzi dai 35 € a persona, bevande escluse.
1 – La domanda richiede un maggiore approfondimento. Quando noi parliamo di costi della ristorazione, abbiamo un food cost e un total cost, che mette insieme anche il labour cost – il costo del lavoro – e altri costi non sono riconducibili al food né al labour, che possono essere dei consumi della sala, quindi degli ambienti che ospitano le attività ristorative. È normale che il food cost sia pressoché analogo: quello che differisce è il labour cost e la qualità del servizio. Quest’ultima è data dal numero dei camerieri, dal tipo di figure professionali che si decide di inserire e da che target si vuole intercettare. Tra l’altro, secondo un mio personalissimo punto di vista, anche grazie alla tv si è data, nel corso del tempo, una forte spettacolarizzazione all’attività di cucina. Cuochi e chef sono favoriti dai media, a discapitodi quello che è ancora il fulcro delristorante: il servizio di sala, che a seconda dell’imposizione del locale, contribuisce all’aumento o alla diminuzione dei costi del servizio.
2 – Non sono d’accordo. I clienti sono molto più selettivi e sanno scegliere meglio rispetto al passato, dando un giudizio ben lontano dalla spettacolarizzazione e più concreto. A un cliente tipo piace mangiare del buon cibo in un bell’ambiente, senza che poi venga snaturato il nostro modo di mangiare tipicamente italiano: prodotti locali, determinate porzionature, un certo tipo di accoglienza. Nei due post-covid vi è stata una sorta di “euforia”, che oggi si è andata a placare: da qui l’impressione che il cliente spenda di meno. Per ciò che riguarda poi il budget, il mercato interno ha una contrazione dovuta aun insieme di fattori macroeconomici che ha diminuito di molto la capacità di spesa.Anche in questo caso, bisogna capiredi cosa stiamo parlando: di un cliente chviaggia per vacanza all’interno del ristorantedegli alberghi; di un cliente esterno, in visita in città, che ha subito necessariamente una contrazione; oppure di un target alto spendente, che non ha subito nessun tipo di contrazione.
3 – Ho già parzialmente risposto con la seconda domanda. Posso dire che io trovo sempre di più, sia per gli ospiti dell’albergo che per gli esterni, una maggiore intelligenza nella scelta del menù. Il cliente è effettivamente un consumatore più maturo, capace a selezionare il giusto rapporto fra pietanze del menù, prezzo e qualità o sequenza del cibo.
4 – Sì, il prodotto locale è utilizzato come leva di marketing, ma deve essere un vero prodotto locale e di qualità. In questo caso il cliente, appunto, più maturo, è disposto a spendere qualcosa in più.
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