Airbnb: il Consiglio di Stato chiama in causa la Corte di Giustizia UE

Airbnb: il Consiglio di Stato chiama in causa la Corte di Giustizia UE

Spettacolo indecoroso dei portali, che realizzano in Italia utili milionari ma dimenticano di pagare le tasse.

Il Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 6219 del 18 settembre 2019, ha disposto il rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea della vertenza promossa da Airbnb, che – a più di due anni dall’entrata in vigore della norma che ha previsto l’applicazione di una tassazione agevolata al 21% sui redditi da locazioni brevi – continua a rifiutarsi di applicare la cosiddetta cedolare secca e di comunicare i dati all’Agenzia delle Entrate.

Il Consiglio di Stato, nel rivolgersi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha escluso la ricorrenza dei presupposti per procedere alla diretta disapplicazione della normativa contestata ed ha affermato che l’interpretazione del TAR, che a febbraio ha respinto il ricorso di Airbnb, non presenta tratti di patente irragionevolezza.

Lapidario il commento del presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca: “Confidiamo che la Corte di Giustizia metta fine a questa commedia, che vede Airbnb appigliarsi ad ogni cavillo pur di non rispettare le leggi dello Stato. Siamo stanchi di assistere a questa esibizione indecorosa dei colossi del web, che realizzano nel nostro Paese utili milionari ma dimenticano di pagare quanto dovuto al fisco italiano, con un comportamento a dir poco opportunistico”. “Federalberghi – ricorda Bocca – è intervenuta nel giudizio al fianco dell’Agenzia delle Entrate per promuovere la trasparenza del mercato, nell’interesse di tutti gli operatori, perché l’evasione fiscale e la concorrenza sleale danneggiano tanto le imprese turistiche tradizionali quanto coloro che gestiscono in modo corretto le nuove forme di accoglienza”.

I precedenti in tribunale

La richiesta di Airbnb era stata respinta dal TAR del Lazio, con sentenza del 18 febbraio 2019. Nell’ambito del medesimo procedimento, ulteriori istanze di Airbnb sono state respinte dal TAR del Lazio il 25 settembre 2017 e il 18 ottobre 2017, dal Consiglio di Stato l’8 giugno 2018 e dal TAR del Lazio il 9 luglio 2018. Nell’ultimo dei casi elencati, il Tribunale Amministrativo ha anche condannato il portale al pagamento delle spese, in favore di Federalberghi e dell’Agenzia delle Entrate.

Il reddito degli host che sfugge al fisco

Airbnb ha dichiarato al TAR di aver incassato circa 621 milioni di euro nel corso del 2016. Consultando altre dichiarazioni pubbliche rilasciate da rappresentanti del portale, si apprende che il numero di arrivi presso gli host italiani è stato di 9,6 milioni nel 2018 contro i 5,6 milioni del 2016 (+71,43%). Gli annunci relativi ad alloggi italiani, rilevati dal Centro studi di Federalberghi con l’assistenza tecnica di Incipit srl e Inside Airbnb, erano circa 405mila al 31 dicembre 2018 contro i circa 209mila al 31 dicembre 2016 (+93,8%).

Conseguentemente, si può stimare che da settembre 2017 ad oggi Airbnb abbia riscosso affitti per oltre 2 miliardi di euro ed abbia omesso di trattenere e versare al fisco italiano circa 430 milioni di euro.

Le sanzioni

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che gli intermediari sono sanzionabili per le omesse o incomplete ritenute da effettuare a partire dal 12 settembre 2017. Secondo quanto affermato dai legali dello stesso Airbnb, le sanzioni applicabili sono complessivamente pari al 140% delle ritenute non effettuate, di cui il 20% per non aver effettuato la ritenuta e il 120% per omessa presentazione della dichiarazione del sostituto di imposta.

All’epoca del primo ricorso (settembre 2017), Airbnb aveva effettuato una simulazione basata sugli introiti del 2016, stimando – a fronte di un mancato versamento pari a circa 130,4 milioni annui – una multa di circa 156 milioni di euro all’anno. Considerando il vertiginoso aumento del giro d’affari, l’importo complessivo della multa, relativa al periodo settembre 2017 – agosto 2019 potrebbe aggirarsi sui 600 milioni di euro.

Chi può essere sanzionato

Per anni, le multinazionali del web sono sfuggite ai controlli delle agenzie fiscali, invocando una sorta di extraterritorialità e rifugiandosi nei paradisi fiscali. Ma una norma contenuta nel decreto “crescita”, in vigore dal 30 giugno 2019, prevede che – se un portale non nomina il proprio rappresentante fiscale in Italia – i soggetti residenti nel nostro Paese che appartengono al suo stesso gruppo sono solidalmente responsabili per l’effettuazione e il versamento della ritenuta del 21 per cento sull’ammontare dei canoni.

Nel caso di Airbnb, è prevedibile che vengano chiamati in causa “Airbnb Italy” ed i suoi amministratori. Si tratta di una società a responsabilità limitata con sede a Milano, che è sotto la direzione ed il coordinamento di Airbnb Inc, società con sede nel Delaware. Fa parte del gruppo anche “Airbnb Ireland UC”, private unlimited company con sede a Dublino, che ha registrato in Italia il dominio Airbnb.it Non è da escludere, dunque, che nel perimetro delle azioni che saranno messe in campo dall’Agenzia delle Entrate per tutelare i propri crediti, possa rientrare anche un pignoramento del sito Airbnb.it.

Il bilancio di Airbnb Italy srl

L’ultimo bilancio pubblicato di Airbnb Italy srl evidenzia imposte pagate in Italia per l’anno 2018 per circa 2milioni di euro. Nello stesso anno, le somme incassate dal gruppo Airbnb a titolo di commissioni sugli affitti incassati nel nostro Paese possono essere stimate in oltre 138 milioni di euro. In altri termini, Airbnb ha deciso di farsi uno sconto sulle tasse ed ha pagato un’aliquota pari all’1,5% dei ricavi. E’ doveroso ricordare che l’aliquota IRPEF minima pagata da un cittadino italiano è pari al 23%.

 

Le grandi bugie della ‘shadow economy’

Gli annunci relativi ad alloggi italiani, rilevati dal Centro studi di Federalberghi con l’assistenza tecnica di Incipit srl e Inside Airbnb ad agosto 2019, erano 457.752, cresciuti del 15,21% rispetto allo stesso periodo del 2018, in cui erano 397.314 e del 75,09% rispetto ad agosto 2017 (261.443 annunci). L’analisi dei dati conferma ed evidenzia le quattro grandi bugie della sharing economy:

non è vero che si condivide l’esperienza con il titolare. Più di tre quarti degli annunci (il 77,35%) si riferisce all’affitto di interi appartamenti, in cui non abita nessuno.

non è vero che si tratta di forme integrative del reddito. Sono attività economiche a tutti gli effetti. Più della metà degli annunci (il 63,13%) sono pubblicati da persone che amministrano più alloggi, con casi limite di soggetti che gestiscono più di 4.300 alloggi.

non è vero che si tratta di attività occasionali. Quasi due terzi degli annunci (il 61,5%) si riferisce ad alloggi disponibili per oltre sei mesi l’anno.

non è vero che le locazioni brevi tendono a svilupparsi dove c’è carenza di offerta. Gli alloggi sono concentrati soprattutto nelle grandi città e nelle principali località turistiche dove è maggiore la presenza di esercizi ufficiali, con oltre trentunomila annunci a Roma, ventimila a Milano, dodicimila a Firenze e novemila a Venezia.

La distribuzione degli annunci su Airbnb per regione: 

Toscana                     66.597
Sicilia                     58.366
Lombardia                     46.314
Lazio                     44.446
Puglia                     40.481
Sardegna                     35.237
Campania                     30.400
Veneto                     27.339
Liguria                     20.859
Piemonte                     17.372
Emilia – Romagna                     15.225
Umbria                       9.343
Trentino – Alto Adige                       9.306
Calabria                       9.244
Marche                       8.751
Abruzzo                       7.109
Friuli – Venezia Giulia                       4.605
Valle d’Aosta                       3.446
Basilicata                       2.364
Molise                          948
Italia                  457.752

I primi 20 comuni italiani per numero di annunci: 

Roma         31.733
Milano         20.878
Firenze         12.414
Venezia           9.097
Napoli           8.593
Palermo           6.184
Torino           4.458
Bologna           4.375
Siracusa           4.147
Catania           3.326
Verona           2.904
Olbia           2.742
Lucca           2.440
Alghero           2.286
Ostuni           2.192
Lecce           2.127
Genova           2.103
Gallipoli           2.099
La Spezia           2.097
Castellammare del Golfo           2.049

Focus sugli host professionisti

A luglio 2018, la Commissione Europea ha ingiunto ad Airbnb di distinguere chiaramente se l’offerta di un alloggio è pubblicata sul portale da un privato o da un professionista. La differenza non è di poco conto, in quanto nel secondo caso le tutele a favore del consumatore sono molto più ampie. E’ diverso anche il trattamento fiscale da applicarsi alle commissioni pagate dagli host, come insegna l’indagine recentemente avviata dalla procura di Genova.

A luglio 2019 Airbnb ha dichiarato di aver ottemperato a quanto richiesto dalla UE, ma basta uno sguardo al portale per verificare che lo ha fatto in modo parziale e del tutto insufficiente. In alcuni annunci c’è scritto che l‘alloggio è “gestito da professionisti”. Nella maggior parte dei casi, però, non c’è scritto nulla e quindi il cliente ha difficoltà a comprendere cosa sta comprando.

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