Edizione interessante di Vinitaly: si punti ancor più sul valore dell’innovazione
A Vinitaly 2023 tante novità interessanti, tuttavia bisogna che il brand nazionale abbia più peso specifico e format stile italiano
La 55^ edizione di Vinitaly a Verona ha colto quello che direttamente o indirettamente ha creato una pandemia. Certamente un giudizio o una considerazione si deve fare con calma, con il giusto tempo di riflessione, facendo anche altri paragoni, avendo altre unità di misura come le prossime manifestazioni del vino, e non solo, come Vinexpo, Anuga, Cibus, ProWein ed altre. Quanto le innovazioni promesse e messe in pratica sono servite alle aziende?
Esattamente questo è l’obiettivo, visto che i principali attori di Vinitaly sono sempre state e sempre saranno le aziende vitivinicole nazionali che vi partecipano, che pagano plateatico, allestitori di stand per la maggior parte veronesi e veneti, curatori degli stand, biglietti, ingressi omaggio da regalare a ospiti, alberghi, ristoranti, affitti, hostess, sommelier, assaggiatori… Un buon fatturato che ruota attorno a 4 giorni in fiera e qualche giorno in più nella città meravigliosa di Verona. Abbiamo già scritto da anni che Vinitaly deve avere un ruolo, funzione, scopo “nazionale” e questo si deve “vedere” nei fatti, azioni e soprattutto deve assumere quel ruolo-icona di winebrand italiano, come è stato Sopexa per il vino e il cibo francese dai primi anni ’80 del secolo scorso. Paragone difficile, ma che deve calzare, seppur in ritardo di 40 anni.
Come al solito, da 40 anni a questa parte, le voci dei veri e unici protagonisti – i produttori di vino – sono a volte estreme e molto diverse. Andare al Vinitaly per fare contratti fino ad oggi non si è rivelata la soluzione ottimale, però si creano nuovi e numerosi contatti, anche molto interessanti, spesso di diverso contenuto e respiro. Tuttavia anche per altri addetti ai lavori – penso agli uffici stampa e ai giornalisti – tutto è diverso, deve cambiare. Sicuramente il Vinitaly deve diventare un “salotto mirato”, cioè meno vetrina effimera edonistica che evidenzia più o meno una grandiosità dell’etichetta di turno, e più un ufficio temporaneo di studio, di conoscenza, valoriale, intriso di cultura, storia…di saper vendere qualcosa oltre a una bottiglia. Bisogna anche avere però direttori commerciali aziendali all’altezza, due lingue almeno parlate e scritte correttamente oltre l’italiano, una conoscenza non ragionieristica, la apertura mentale, ascoltare gli uffici statistici economici che lavorano in prospettiva e per obiettivo. Con quello che si spende, se non si firmano contratti, almeno bisogna investire in una immagine individuale e collettiva.
È un peccato vedere che per 4 giorni il documentario-filmato più visto nello stand della Regione Emilia Romagna – come mi segnalano produttori – lanciava in continuo, dalle 9 alle 18, l’immagine del vino Doc Gotturnio, invece del corretto Gutturnio, doc dal 1967… non da ieri!
Più attenzione, più decisione, più precisione come dicono alcuni titolari e Ceo di imprese. Questo mi ha stimolato un pensiero: visto che la presenza straniera c’è e ci sarà sempre più, se non crolla il mondo, perché non dedicare più spazi alla cultura enoica? Non credo abbia più senso neanche la proposta dell’abbinamento vino-cibo senza una reale e concreta azione formativa immediata diversificata. Ci sono i convegni ma sempre molto autoreferenziali. Più convegni , per esempio, sull’innovazione e sostenibilità del vino tricolore, credibilità di un modello, nuovi consorzi di tutela, applicazioni di norme sulla nuova viticoltura legata ai cambi climatici e ai territori svantaggiati vulnerabili.
Sostenere che la presenza e l’apertura delle fiere sul suolo nazionale sia la miglior forma per fare business da parte delle imprese lo trovo molto azzardato, se non errato, ancora oggi. A parte alcune fiere-icone (ma nel 2022 già ora vediamo un calo notevole per quelle manifestazioni senza un appeal particolare), la maggior parte ha sofferto negli ultimi 5-6 anni un calo di presenze e di frequentazioni, soprattutto quelle più piccole e con temi non certamente diretti al BtoB. Vinitaly vive perché il vino italiano funziona al di là del vino stesso, vive bene perché il Prosecco è soprattutto Veneto, perché l’Amarone ha un appeal estero notevole, perché il Garda a primavera è un anticipo di vacanza molto gradevole, perché Verona è una città media piacevole e attraente. Tutte componenti che rendono Vinitaly più un distretto che una mostra esposizione.
Verona poi ha saputo essere calamita, ovvero ha saputo aprire tutte le porte, perché chi non poteva entrare in fiera in ogni caso un calice se lo poteva gustare fra i monumenti e le vie rinascimentali. Certamente i numeri (i volumi) contano sempre e contano ancora, ma non sono determinanti, non guidano la mia riflessione. 40.000 o 25.000 stranieri non cambiano la vita, dipende se almeno 15.000 sono potenti, diffusi, attenti personaggi mondiali del business e del commercio del vino! Se Vinitaly 2022 ha perso 50.000 visitatori (compreso un buon numero di biglietti venduti a 100 euro cadauno) e non hanno fatto sentire la mancanza alle cantine e agli altri operatori attivi e interessati, per me è un grande successo. Vuol dire che c’è stata concentrazione e peso specifico delle presenze. Ma questo lo diranno le cantine a posteriori. Anche se la mia esperienza personale (dal 1981 al 1984 sono stato presente anche come produttore) mi dice che di veri nuovi contratti non se ne sono fatti neanche nel 2022…se non qualche nuovo contatto, un nome ritornato, un saluto inatteso, un passaggio insperato. Oggi la domanda conta, va capita, segmentata, seguita, curata tramite consulenti molto noti.
Sono contento dell’edizione 2022: si transitava nei padiglioni respirando, meno stagnazione, meno sgomitamento, più spazio fra gli stand più grandi, corridoi un po’ più larghi, solite file di sbicchieramento ai soliti stand noti, porte chiuse dai soliti brand, qualche difficoltà per il ghiaccio e per il lavaggio bicchieri. Inoltre più il Vinitaly va fuori Italia, più sicuramente gli addetti ai lavori che contano arriveranno, più ci saranno contatti da coccolare e seguire assiduamente (mi auguro e spero che succeda), più i filtri saranno mirati e vigilati, più ci sarà un salto ulteriore di qualità e molti operatori stranieri arriveranno. Ancora qualche biglietto aziendale è finito ai figli dei figli che poi si sparavano gli hotdog sedendosi per terra visto le meravigliose giornate. Meglio imporre ai banchi volanti dei panini l’obbligo di allestire tavoli e tavolini o banchi con personale di controllo e vigilanza… e dignità.
C’è qualche “valoriarità” da mettere in linea. Ho anche non trovato molti giornalisti, o tali, che negli anni passati facevano capolino e compagnia all’ufficio stampa della fiera e all’accredito stampa. Dispiace ma è giusto: dispiace perché Vinitaly è sempre stata una occasione di incontro anche per noi scrittori, editori, editorialisti del vino. Non è corretto, invece, se il filtro è fatto solo se il mittente è una testata nazionale generalista e cartacea, rispetto a un sito tematico specializzato. Nello stesso tempo a volte anche troppo credito è dato a chi si autoincensa con i blog e fra i blogger.
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