Ristorazione, l’inflazione spaventa le imprese. La ripresa è rimandata
Come di consueto è stato presentato il rapporto 2021 di Fipe-Confcommercio: per 6 imprese su 10 il ritorno ai fatturati pre-Covid non arriverà prima del 2023. Prosegue l’emergenza occupazionale, con 194mila professionisti di bar e ristoranti persi nel periodo della pandemia
– Dopo l’emergenza Covid, l’impennata dei costi di materie prime ed energia paralizza il settore: l’87% degli imprenditori ha registrato un aumento della bolletta energetica fino al 50% e del 25% per i prodotti alimentari.
– Rimangono tuttavia contenuti gli aumenti dei prezzi ai consumatori: nel febbraio 2022 lo scontrino medio è salito solo del 3,3% rispetto a un valore generale dei prezzi aumentato del 5,7%. Il 56,3% di bar e ristoranti non prevede di rivedere a breve il rialzo dei propri listini prezzi.
– L’impennata dei costi di gestione incide però sulle previsioni di crescita, con il 62% delle imprese che ritiene verosimile un ritorno ai livelli pre-crisi solo nel 2023. Incertezza che si acuisce a causa della minore propensione degli italiani a spendere in bar e ristoranti dovuta principalmente, secondo il 43% degli imprenditori, agli effetti del carovita e al perdurare di un indice di fiducia negativo.
– Focus di Fipe-Confcommercio e Format Research sul Green Pass: il 72% delle imprese ha dovuto registrare qualche inconveniente, in particolare per la richiesta di esibizione del certificato. Imprese attente ai controlli: quasi irrilevante il numero di imprese sanzionate per non aver chiesto il certificato verde ai clienti (solo lo 0,8% è stata multata per l’omissione, a fronte di controlli estesi a oltre il 55% dei pubblici esercizi italiani).
– Per il secondo anno consecutivo si conferma la forte frenata della nascita di nuove imprese, 8.942 nel 2021, a fronte di un’impennata delle cessazioni di attività, 23mila. Tra 2020 e 2021 le imprese che hanno chiuso i battenti sono oltre 45mila.
– Per l’86% delle imprese il fatturato nel 2021 è ancora al di sotto dei livelli del 2019. Nel 2021 i consumi si sono ulteriormente ridotti di 24 miliardi di euro rispetto al 2019.
– Il lavoro resta l’emergenza più grave generata dal Covid: 193mila occupati in meno rispetto al 2019 e il 21% delle imprese lamenta di aver perso manodopera professionalizzata e formata. Per 4 imprenditori su dieci mancano candidati e competenze adeguate.
Dopo oltre due anni di pandemia con tutti i ben noti problemi ancora la situazione che matte in ginocchio i pubblici esercizi non accenna a placarsi: mentre le restrizioni imposte per il contenimento della pandemia stanno ancora facendo sentire i loro effetti, l’improvviso e instabile rialzo dei prezzi come la carenza crescente delle materie prime e dell’energia sta determinando una preoccupazione ed una incertezza crescente tra gli imprenditori.
Se il 2021 si contava che sarebbe stato l’anno della ripartenza, ha mantenuto la promessa solo per il 16% delle imprese, i cui fatturati sono cresciuti, mai però più del 10%. Per il 73% degli imprenditori, invece, il calo del volume di affari è stato verticale, a causa delle lunghe limitazioni con conseguente contrazione dei consumi. Gli italiani hanno speso oltre 24 miliardi di euro in meno nei servizi di ristorazione rispetto al 2019, equivalente al 27,9%.
La pesante conseguenza di questa dinamica, e del clima di sfiducia che si è sviluppato attorno al settore, è stata la scomparsa di 194mila posti di lavoro rispetto al periodo pre-covid.
A illustrare lo situazione del comparto è stato l’ufficio studi di Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, nel suo consueto rapporto annuale, realizzato in collaborazione con Bain&Company e Tradelab, presentato a Roma alla presenza del presidente Lino Enrico Stoppani e di Romina Mura, presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati.
“La fotografia scattata attraverso il nostro rapporto – sottolinea il presidente Stoppani – si arricchisce di ulteriori elementi di stringente attualità. Il deflagrare del conflitto bellico in Ucraina sta infatti avendo e continuerà ad avere un impatto fortissimo sulle nostre attività, sia per gli effetti sulla dinamica dei prezzi delle materie prime energetiche e sull’approvvigionamento di specifiche materie prime alimentari, sia per le giuste e necessarie sanzioni elevate dalla comunità internazionale a carico della Russia e sia per l’effetto domino sui flussi turistici, linfa vitale per il nostro settore. Stante così la situazione non è più rinviabile l’eliminazione delle misure restrittive adottate in Italia per mitigare la Pandemia. Misure che oggi, grazie ai vaccini, possiamo e dobbiamo cancellare, anche per ricostruire un clima di fiducia in grado di riavviare i consumi in forte sofferenza. Alle emergenze prezzi e consumi se ne aggiunge una terza, l’occupazione. In questi due anni le imprese hanno subito una pesante perdita di capitale umano a cui occorre rimediare con la massima urgenza recuperando produttività ed attrattività. Senza produttività non si fanno investimenti, non si attraggono capitali e non si remunera meglio il lavoro. Ma quello che manca è una vera politica di settore che ne riconosca il valore per lo sviluppo del Paese. Su questo obiettivo concentreremo la nostra iniziativa e il nostro impegno.”
Le imprese
Nel 2021 hanno avviato l’attività 8.942 imprese mentre circa 23.000 l’hanno cessata. Il saldo è negativo per quasi 14mila unità. Si conferma per il secondo anno la forte frenata della nascita di nuove imprese e la contestuale accelerazione di quelle che chiudono che nel biennio 2020/2021 toccano la soglia di 45 mila cessazioni.
Che il sentiment degli imprenditori non sia orientato all’ottimismo emerge con chiarezza dalle valutazioni sulle performance economiche delle aziende. Oltre il 71% dichiara di aver registrato una contrazione del proprio fatturato rispetto al 2020. Tra queste ben il 32% ha lamentato una diminuzione che va oltre il 20%.
Per appena il 16% delle imprese il 2021 è stato l’anno della parziale ripartenza. Per queste imprese il fatturato è cresciuto anche se per la maggioranza di esse di meno del 10%.
Le complicazioni legate all’obbligo di green pass (48%) e il calo della domanda a seguito delle restrizioni (44,6%) sono i fattori che nel 2021 hanno maggiormente condizionato la dinamica del fatturato dei pubblici esercizi. Non va trascurato quel 30,7% di imprese che segnala i condizionamenti psicologici dovuti alla recrudescenza della pandemia che è stata particolarmente intensa proprio nella seconda parte dell’anno quando le attività hanno comunque potuto continuare a lavorare.
Con queste premesse risulta scontato che i volumi di attività raggiunti nel 2019 siano ancora lontani. Quasi l’86% delle imprese dichiara che anche nel 2021 i ricavi sono rimasti sotto i livelli pre-pandemici. Tra queste, il 75% denuncia un calo superiore al 10%. In media tra il 2021 e il 2019 si registra una riduzione del fatturato del 13%.
I consumi
In due anni il settore ha cumulato perdite di domanda per oltre 57 miliardi di euro. La perdita più consistente è quella del 2020 con il doppio lockdown di inizio e fine anno che ha generato una contrazione dei consumi pari a 33 miliardi di euro.
Nel 2021, a seguito dell’allentamento delle misure restrittive sul finire del primo semestre, si è registrato un trend di ripartenza della domanda che, tuttavia, è rimasta al di sotto dei livelli del 2019 di circa 26 punti percentuali quantificabili in più di 23 miliardi di euro.
Giova ricordare che il comparto della ristorazione fino a maggio 2021 è stato oggetto di un crescendo di misure restrittive collegate all’evoluzione delle fasce di rischio delle Regioni. Solo a partire dal primo giugno è stato possibile riprendere in pieno l’attività sempre nel rispetto delle misure di sicurezza previste dalle linee guida dettate dalle Regioni.
L’introduzione, il 6 agosto 2021, dell’obbligo di green pass per la clientela avveniva non solo in piena stagione estiva ma in un periodo nel quale il numero dei non vaccinati sul totale della popolazione over 12 anni era pari ad un terzo del totale. In definitiva a 17 milioni di italiani veniva impedito di entrare in un ristorante o di stare seduti all’interno di un bar.
I prezzi
Alla crisi pandemica si è aggiunto a partire dalla seconda parte dell’anno un ulteriore grave problema. Si tratta dell’impennata dei prezzi prima sul versante delle materie prime energetiche e successivamente su quello dei prodotti alimentari. Oltre l’87% dei pubblici esercizi dichiara di aver subito aumenti della bolletta energetica: uno su tre lamenta rincari tra il 25% e il 50% e quasi il 20% denuncia rincari superiori al 50%.
Ma la percezione degli aumenti non sempre rispecchia correttamente la realtà. A seguire l’andamento dei prezzi della sola materia prima nel confronto tra l’ultimo quadrimestre del 2019, 2020 e del 2021.
Le cose non migliorano se dall’energia si passa ai prodotti alimentari. Oltre l’85% delle imprese registra aumenti dei listini da parte dei propri fornitori che nella maggioranza dei casi oscillano tra il 10% e il 25%. Non mancano tuttavia situazione estreme con aumenti al di sopra del 25%. Si esprime in tal senso il 19,2% delle imprese intervistate.
Non tutte le imprese stanno adottando le necessarie contromisure nei riguardi degli aumenti dei costi. Tutto ciò si riflette nella dinamica dei prezzi del settore che, sebbene in rialzo, non mostra spinte rialziste particolarmente forti. La variazione media annua del 2021 è dell’1,9% per la ristorazione commerciale e dell’1,1% per la collettiva portando l’intero settore ad un incremento medio annuo dell’1,8% rispetto al 2020. Il tendenziale del mese di febbraio 2022 si attesta a + 3,2% a fronte di un valore generale del +5,7%.
Lavoro
Il tema del lavoro è senza ombra di dubbio la grande emergenza scatenata dal covid e dalle misure restrittive introdotte nel settore dei pubblici esercizi.
In termini di lavoro dipendente le imprese del settore hanno perso nel 2020 oltre 243mila unità che sono state solo in minima parte recuperate nel corso del 2021. Il risultato è che in questo ultimo anno il numero dei lavoratori dipendenti è ancora inferiore di 194mila unità rispetto ai livelli del 2019.
Alla dispersione delle competenze fa riferimento il 28% delle imprese che dichiara di aver perso alcuni dei propri collaboratori e, in particolare, il 21,5% di queste che ha perso collaboratori formati da tempo e di esperienza.
Attualmente il 34% delle imprese dichiara di avere un numero di addetti inferiore a quello del 2019. Se si considera che nel settore meno di un’impresa su due ha in forza almeno un lavoratore dipendente è facile immaginare come la contrazione di personale riguardi la stragrande maggioranza delle attività.
Con questa avvertenza e guardando il bicchiere mezzo pieno, anziché mezzo vuoto, va segnalato quel 65% di aziende che pur in una congiuntura così difficile è riuscito a mantenere i livelli occupazionali del periodo pre-pandemico.
La necessità di recuperare il capitale umano perduto nell’anno del lockdown ha portato il 32,6% dei pubblici esercizi intervistati a ricercare personale nel corso del 2021. Due imprese su tre hanno incontrato difficoltà nell’individuare le figure professionali necessarie con conseguenze negative sull’organizzazione aziendale.
Le principali motivazioni alla base della difficoltà di reclutamento del personale sono le competenze inadeguate (40,3%), la penuria di candidati (33,5%) e le misure di sostegno al reddito che disincentivano la ricerca di lavoro (32,4%) da interpretare anche alla luce di considerazioni sulla scarsa attrattività del lavoro.
Ma i problemi messi sul “piatto” dalla pandemia non riguardano solo l’uscita dal settore di un numero consistente di occupati e la difficoltà a soddisfare i bisogni occupazionali delle imprese. Il covid, o meglio le misure restrittive adottate per contrastarlo, hanno creato numerose difficoltà nei rapporti tra impresa e dipendenti. Lo afferma il 33,9% delle imprese intervistate che ha registrato assenze per malattia (48%), chiusure per cluster di contagi (38%) e difficoltà per il rifiuto dei dipendenti a vaccinarsi (13,7%). In tale ultima situazione ci sono state assenze per mancanza di green pass (47,2%), esternazioni ‘no vax’ di fronte ai clienti (29,8%) e persino dimissioni volontarie per evitare il vaccino.
Le contromisure adottate dalla dalle imprese si sono tradotte in sospensione dal lavoro (33,4%), mancato rinnovo dei contratti a termine (27,2%) e in una continua azione di moral suasion nel tentativo di convincere i riottosi ad aderire alla campagna vaccinale (13%).
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