Trend Vacanze. Un’estate di resistenza per il turismo italiano
La pressoché totale mancanza dei turisti stranieri dall’Italia ha visto quasi l’80% in meno di presenze negli hotel a 5 stelle. Sono mancati soprattutto i turisti stranieri (-91,2%) che per le strutture di alta gamma nelle città d’arte costituiscono la principale componente della domanda. Risultati insperati invece per numerose località balneari e montane
Ha pianto, si è disperata, si è rimboccata le maniche e si è rialzata. Non è ancora ferma ed eretta sulle sue gambe ma l’Italia, il Bel Paese come venne definito da Dante e Petrarca, pur essendo ai primi posti nella triste classifica delle nazioni europee più danneggiate dal coronavirus, è anche uno di quelli che a livello turistico ha risposto meglio degli altri alla crisi da esso generata. Grazie all’elevata percentuale di turismo interno e ad un ritrovato autarchico interesse, speriamo non estemporaneo e circostanziale, per coste, montagne e borghi la Penisola ha dimostrato in questa difficile estate di saper reagire, in alcune sue componenti, alla grave perdita dei flussi turistici internazionali. La significativa quota incrementale di movimento turistico prodotto dai nostri connazionali ha infatti contribuito, in molti casi, a mitigare il crollo dei turisti stranieri, che negli ultimi anni erano diventati quasi il 50 percento dei circa 430 milioni di presenze annuali registrate in Italia. Un’assenza quella del turismo straniero che solo nel periodo luglio-settembre ha pesato negativamente per quasi 14 miliardi di mancati ricavi per le imprese del settore (fonte: Confcommercio).
Un tracollo che si riverbera oltremodo soprattutto sulle strutture del segmento luxury (ristoranti inclusi), quelle per cui gli ospiti stranieri costituiscono la componente principale della domanda. Provengono infatti da Stati Uniti, Giappone, Russia, Australia, Brasile e Cina i principali habitués degli hotel di lusso italiani, tutti mercati chiusi da oltre 5 mesi durante i quali sono andati in fumo diversi milioni di pernottamenti soprattutto nelle città d’arte che, con la loro elevata quota di internazionalizzazione, sono quelle maggiormente in difficoltà in questo momento. E quelle con le più fosche prospettive di ripresa del movimento turistico, sia leisure che business, dal momento che l’asimmetria nella diffusione del Covid-19 continua a generare incertezza sulla ripresa dei viaggi e continuerà a farlo almeno per tutto il prosieguo del 2020 e per buona parte del 2021.
Per queste destinazioni progettare il futuro a breve e medio termine risulta dunque piuttosto complicato anche perché la gran parte di esse negli ultimi anni si è concentrata in termini di offerta, servizi e pricing unicamente (o quasi) sui mercati esteri, quelli più responsive e remunerativi… in tempi di normalità. In questo difficilissimo contesto i mesi di luglio e, soprattutto, agosto hanno tuttavia regalato ad alcuni territori e numerose località, soprattutto balneari e montane, insperati e inattesi risultati. Dati “positivi” che, pur non potendo cancellare l’ecatombe dei milioni di presenze persi solamente quest’estate (circa 65 mln.) in particolare nelle località d’arte e cultura, ha regalato una boccata di ossigeno a migliaia di operatori. Un momento di respiro che, al di là degli interventi che il governo potrà effettivamente mettere in campo a livello economico e fiscale a sostegno del settore, non dirada le nubi che oscurano l’orizzonte dell’industria dell’ospitalità nazionale, che guarda con estrema preoccupazione agli imminenti mesi invernali.
Se gli italiani, come accaduto in questa estate (in oltre il 90% dei casi), continueranno però a privilegiare la Penisola per le loro vacanze (brevi e lunghe) l’inverno potrebbe essere “meno rigido” nonostante la perdurante assenza degli stranieri. Certo che i messaggi neanche tanto subliminali che arrivano dal ministro Franceschini e dall’Agenzia nazionale per il turismo non sono di buon auspicio per il settore, dal momento che sembrano concordi nel sostenere che i flussi turistici non torneranno sui livelli pre-Covid prima del 2023.
Un triennio che, in assenza di ingenti e sostanziali sostegni economici e finanziari, potrebbe sancire la “morte” di migliaia di imprese. E in una situazione come questa non possiamo fare a meno di segnalare agli addetti ai lavori e agli stakeholders dell’hotellerie italiana alcuni elementi caratterizzanti della nostra offerta turistica italiana, che dovranno assolutamente essere modificati e innovati se tutto il settore vorrà sinergicamente affrontare in maniera adeguata e consapevole le nuove sfide che arriveranno dal mercato appena questo riprenderà il proprio corso:
- la riqualificazione diffusa del patrimonio alberghiero nazionale, che sconta già i segni del tempo ma che alla vera ripresa del mercato risulterà ancor più obsoleta in assenza di profondi interventi di ristrutturazione;
- un cambio di approccio, strategico e tattico, nei confronti di mercati, target e tipologie di clientela. Il virus sta producendo un cambio di paradigma a tutti i livelli a cominciare dagli stili di consumo e acquisto dei turisti, che stanno aggiornando le proprie esigenze e necessità anche in fatto di vacanze e di alloggio;
- una nuova e differente attenzione al digitale (siti e portali in primis) e alla formazione del personale. Si deve ripensare il modello di business guardando al medio-lungo periodo, avviando nuovi investimenti e uscendo fuori dalla propria comfort zone;
- basta solitudine e autoreferenzialità. Gli albergatori italiani devono sentire il bisogno e avere la voglia di confrontarsi di più, fare maggiormente rete tra di loro e non disdegnare il supporto di consulenti ed esperti del settore che, in situazioni di emergenza come quella in cui ci troviamo, possono essere molto più che utili.
Focus Emilia Romagna
Tornando all’oggi e focalizzando l’analisi in dettaglio sull’Emilia Romagna, una delle regioni leader a livello turistico, sono dati tutto sommato accettabili quelli rilevati da Trademark Italia per l’Osservatorio Turistico Regionale… e non sono i soli. Sulla Riviera Romagnola così come nelle località appenniniche emiliane l’estate del Covid è stata superata con performance che hanno consentito agli operatori turistici di tirare un sospiro di sollievo. Agosto in particolare ha registrato un andamento in alcuni, e particolari, casi addirittura migliore rispetto alla passata stagione.
Non altrettanto di può dire purtroppo per le città d’arte e d’affari della nostra regione, la forte contrazione del movimento internazionale anche nella nostra regione sta incidendo in maniera significativa sui bilanci delle imprese turistiche, non solo ricettive. In questi casi neppure la domanda di prossimità nazionale ha surrogato le perdite che, per l’intero settore turistico emiliano-romagnolo, vengono stimate da marzo a tutto agosto oltre il miliardo di euro.
Nonostante dunque un mese di agosto da “quasi tutto esaurito” sulle spiagge della Romagna i bilanci dell’industria turistica e della filiera collegata non possono essere positivi, soprattutto se lo sguardo si amplia ai prossimi mesi durante i quali solitamente le città d’arte e d’affari tornavano protagoniste grazie al ricco calendario di fiere, congressi e al movimento leisure (turistico ed escursionistico) generato da mostre, eventi, etc.. L’impoverimento di questa programmazione, che non sta dando al momento particolari segnali di ripresa, potrebbe ulteriormente aggravare le perdite gestionali già registrate da molte imprese del settore.
Al di là dunque del dato parzialmente confortante di agosto sulla Riviera e sull’Appennino, che ridimensiona quelli negativi di giugno e luglio, le prospettive non sono rosee per l’immediato futuro. Speriamo quindi che il 2021 arrivi il prima possibile portando con sé la fine dell’epidemia e un ritrovato entusiasmo tra gli operatori del turismo, un settore che nel nostro Paese vale circa il 13% del Prodotto Interno Lordo e rappresenta oltre il 6% degli occupati.
Stefano Bonini
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