Wellness. Un business potenziale con la strategia “Stay-Fit-Cation”
La crisi pandemica aveva messo tutti in ginocchio e un comparto quasi irreversibilmente: quello della ricettività. Aree come Milano e Roma che in condizioni normali avevano flussi ininterrotti di clientele business e turistiche, hanno iniziato ad elaborare, in quel tragico contesto, qualche idea difensiva.
La strategia “staycation-business”, che vedeva proporre food, beverage e camera in “all-inclusive-pack” per fronteggiare il rischio assembramenti e tenere acceso il fuocherello dei servizi ai clienti, è stata una via. Un’opportunità sviluppata dalla necessità che ha prodotto alternative più o meno sicure agli assembramenti. Ma l’isolamento in quelle circostanze, purtroppo, era forzato. Successivamente, questa condizione si è evoluta verso modelli permanenti di personalizzazione dei servizi wellness. Anche nel settore della ricettività. Vi sono grandi opportunità non ancora sfruttate, che relazionerebbero al meglio fitness e hotels più di quanto sia mai stato fatto. Le chances che non vengono ancora colte in ambito hotellerie restano un mistero che tuttavia, in qualche incontro, abbiamo visto parzialmente svelato da manager di strutture recettive. Questo management, molto preparato nell’accoglienza e nella gestione di tutta la filiera servizi al cliente, non conoscendo a fondo il nostro settore o avendo avuto esperienze poco positive con piazzisti di macchinari inutili, ha ammesso candidamente di averlo sempre tenuto ai margini. Nel wellness non ci hanno intravisto, per usare il loro linguaggio, potenziale revenue. Né prima né ora.
Facciamo un esempio: Milano
Sul Quadrilatero d’Oro, con Via Montenapoleone come baricentro, vi sono hotels che offrono accoglienza di livello assoluto cui associano food, beverage e in qualche caso molto, ma molto marginale, fitness. Il servizio fit-wellness erogato, che si presupporrebbe di pari livello rispetto ai primi due, è gestito da personal trainer magari in gamba, ma che non operano mai in squadra. Non hanno linee guida, per intenderci. Restano nell’alveo di un servizio in outsourcing che se non di livello assoluto si riverbera sulla qualità complessiva della struttura hotel percepita dal cliente: come un pessimo caffè a chiusura di un pranzo eccellente. Molti personal trainer che lavorano nelle palestre in out-sourcing, per esperienza personale, sappiamo andare dritti verso conflitti con l’organizzazione principale del centro fitness. Questo perchè mirano ai loro interessi e mai a quelli dell’azienda per cui collaborano, con cui dovrebbero, volenti o nolenti, condividerne le strategie commerciali ma prima ancora comportamentistiche. Infatti, dopo un po’, trasferiscono i migliori clienti nel loro studio di personal training. Per gli hotels in generale quindi un avviso: succederà più o meno per tutti la stessa cosa. L’operatore fitness esterno potrà anche essere un vantaggio nell’immediato ma nel lungo periodo inizierà a diventare un boomerang, portandosi via la wellness-revenue potenziale che si consolida solo attraverso la fidelizzazione cliente.
Ma ipotizziamo nella strategia stay-fit-cation quella della tre “A”:
A1= ACCOGLIENZA;
A2= ALIMENTAZIONE;
A3= ALLENAMENTO.
L’hotel oggi vende accoglienza (A1), in percentuale minore food (A2) e in percentuale super-irrisoria il fitness (A3), che per qualche tempo è stato congelato dai protocolli e ha avuto un percorso commerciale discontinuo. Un’idea però bisognerà pure elaborarla ora a bocce ferme e in chiara ripartenza, perchè, spannometricamente, un 33% di servizio complessivo (e hotel revenue) perduto va moltiplicato per anni di gestione passata, presente e futura. Teniamo conto, poi, che gli hotels sono obbligati ad avere al proprio interno wellness rooms spettacolari, magari non enormi ma con vista sulla città, dove gli unici protagonisti sono i tapis roulant e le ellittiche, tecnologie spesso inutilizzate e costose. Ora, se si trattasse di un centro fitness tradizionale, dove ogni metro quadro deve produrre redditività, il fitness manager verrebbe messo in discussione, ma non trattandosi di centro fitness riusciamo a comprendere i timori del management hotellerie. Meglio un male minore (lasciamo tutto così com’è) che affrontare il problema e risolvere la questione della redditività per metro quadro della palestra hotel. Nel frattempo, noi fitness operators proponiamo un’opportunità: la stay-fit-cation.
Non c’è bisogno di spiegare tanto: se al termine staycation di cui prima aggiungiamo la parola “fit” vuol dire che è ora di completare la filiera delle tre “A”. Hospitality management e wellness management si mettano al lavoro su un progetto che reinserisca in circuito business le clientele autoctone e non necessariamente internazionali, che cercano un fitness d’eccellenza con operatori qualificati, spazi non assembrati, uso individuale e contingentato delle tecnologie, food post-allenamento di qualità. E con, in caso di week-end package, una lunga e approfondita chiacchierata in presenza col Wellness Consultant (sul tema allenamento la strategia zoom non va bene) su quegli obiettivi di fitness e salute non delegabili a piattaforme su cui arriva una grande quantità di wellness a una “stella”. Non la Michelin, ma quella del livello di hotellerie per cui quel servizio (scarso) potrebbe essere adatto. La ricettività eccellente non può che avere bisogno del Wellness eccellente.
Roberto Romano Autore di questo articlo, è “Gym manager” presso Health Club di primaria importanza, da diversi anni inoltre è consulente per autorevoli riviste italiane di settore (sport&fitness, wellness, management sportivo) ed ora anche per la nostra testata.
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